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libro terzo — cap. xiii 283

non il deporre Livorno in mano de’ collegati: cosa proposta artificiosamente da lui, perché, sapendo che mai consentirebbono di deporre luogo sí importante allo stato loro, gli restasse facoltá maggiore di contradire; il che essendo dipoi succeduto come pensava, s’oppose con tale caldezza che, non avendo il pontefice e l’oratore del duca di Milano ardire di contradirgli per non gli alienare dalla loro congiunzione, non si seguitò questo ragionamento; e si cominciò per il pontefice e i viniziani nuovo disegno per divertire con violenza i fiorentini dalla amicizia franzese: dando animo a chi pensava di offendergli le male condizioni di quella cittá, nella quale era tra’ cittadini non piccola divisione causata dalla forma del governo.

Perché quando fu fondata da principio l’autoritá popolare non erano stati mescolati quegli temperamenti che, insieme con l’assicurare co’ modi debiti la libertá, impedissino che la republica non fusse disordinata dalla imperizia e dalla licenza della moltitudine. Però, essendo in minore prezzo i cittadini di maggiore condizione che non pareva conveniente, e sospetta da altra parte al popolo la loro ambizione, e intervenendo spesso nelle deliberazioni importanti molti che n’erano poco capaci, e scambiandosi di due mesi in due mesi il supremo magistrato al quale si referiva la somma delle cose piú ardue, si governava la republica con molta confusione. Aggiugnevasi l’autoritá grande del Savonarola, gli uditori del quale si erano ristretti quasi in tacita intelligenza, ed essendo tra loro molti cittadini di onorate qualitá, e prevalendo ancora di numero a quegli che erano di contraria opinione, pareva che i magistrati e gli onori publici si distribuissino molto piú ne’ suoi seguaci che negli altri; e per questo essendosi manifestamente divisa la cittá, l’una parte con l’altra ne’ consigli publici si urtava, non si curando gli uomini, come accade nelle cittá divise, di impedire il bene comune per sbattere la riputazione degli avversari. Faceva piú pericolosi questi disordini, che oltre a’ lunghi travagli e gravi spese tollerate da quella cittá v’era quell’anno carestia grandissima, per il che si poteva presumere che la plebe affamata desiderasse cose nuove.