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libro primo - capitolo xxiv 31

CAPITOLO XXIV

[Le republiche bene ordinate costituiscono premi e pene a’ loro cittadini né compensono mai l’uno con l’altro.]

Si può dire forse di Orazio che fu assoluto non tanto per la considerazione de’ meriti suoi, quanto perché non paressi errore amazzare una sorella che si lamentava di quello che era causa della salute e libertá della patria, ed insultava al fratello autore di tanto bene; ed intendendola cosí, non è maraviglia fussi chiamato in giudicio, perché di necessitá l’omicidio aveva bisogno di assoluzione, fatta non da’ privati ma dal publico. Nondimeno la veritá pare che sia che lo amazzarla fussi delitto, perché se lei aveva fallato, non spettava a’ privati ma a’ magistrati punirla, e che la memoria de’ meriti causassi la assoluzione di Orazio, concorrendo massime che lei pareva glien’avessi dato qualche causa poi che con pianti e querele era andato turbandogli sí bella vittoria. Ed in tal caso concorrendo tutte queste circunstanzie di essere l’omicidio fatto non pesatamente, ma con ira provocata ed assai giusta da uno giovane irritato nella gratulazione di sí bella vittoria, di avere offeso non altri che el padre e loro medesimi, di essere e’ meriti di Orazio sí grandi e sí freschi, sarebbe stato piú reprensibile el popolo romano d’averlo condannato, che non fu d’averlo assoluto. Non perché sia bene fare regola di potere compensare el male col bene, che, come dice el Discorso, saria pernizioso, ma perché dove concorrono tante circunstanzie sia molto conveniente partirsi dalla regola e fare esemplo non a chi vuole indistintamente compensare e’ meriti co’ peccati, ma a chi ha a giudicare, di poterlo compensare, concorrendo tante cagione quante concorsono nel caso di Orazio.