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pigliare ogni partito, per tristo, pericoloso e pernizioso che sia; però fuggitegli come el fuoco.

168. Che mi rilieva me, che colui che mi offende lo facci per ignoranzia e non per malignitá? Anzi, è spesso molto peggio, perché la malignitá ha e’ fini suoi determinati e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può; ma la ignoranzia, non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dá mazzate da ciechi.

169. Abbiate per una massima, che o in cittá libera o in governo stretto, o sotto uno principe che voi siete, è impossibile coloriate tutti e’ vostri disegni; però quando qualcuno ve ne manca, non vi adirate, non cominciate a volere rompere pure che abbiate tale parte che dobbiate contentarvi; altrimenti faccendo, sturbate voi medesimi e qualche volta la cittá, ed alla fine vi trovate avere quasi sempre peggiorato le vostre condizione.

170. Grande sorte è quella de’ principi, che e’ carichi che meritano essere suoi, facilmente scaricano addosso a altri, perché pare che quasi sempre intervenga che gli errori e le offese che loro fanno, ancora che naschino da loro propri, siano attribuiti a consiglio o istigazione di chi è loro apresso. Credo proceda non tanto per industria che usino in fare nascere questa opinione, quanto perché gli uomini volentieri voltano lo odio o le detrazione a chi è manco distante da loro, e contro a chi sperano potersi piú facilmente valere.

171. Diceva el duca Lodovico Sforza che una medesima regola serve a fare cognoscere e’ principi e le balestre. Se la balestra è buona o no si cognosce dalle freccie che tira; cosí el valore de’ príncipi si cognosce dalla qualitá degli uomini mandano fuora. Dunche si può arguire che governo fussi quello di Firenze, quando in uno tempo medesimo adoperò