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serie seconda 309

112. Diceva messer Antonio da Venafra, e dice bene: metti sei o otto savi insieme, diventano tanti pazzi; perché non si accordando mettono le cose piú presto in disputa che in resoluzione.

113. Erra chi crede che la legge rimetta mai cosa alcuna in arbitrio, cioè in libera voluntá del giudice, perché la non lo fa mai padrone di dare e tôrre; ma perché sono alcuni casi che è stato impossibile che la legge determini con regola certa, gli rimette in arbitrio del giudice: cioè che el giudice, considerate le circunstanzie e qualitá tutte del caso, ne determini quello che gli pare secondo la sinderesi e conscienzia sua. Di che nasce che benché el giudice non possa della sentenzia sua starne a sindacato degli uomini, ne ha a stare a sindacato di Dio, el quale cognosce se gli ha o giudicato o donato.

114. Sono alcuni che sopra le cose che occorrono fanno in scriptis discorsi del futuro, e’ quali quando sono fatti da chi sa, paiono a chi gli legge molto belli; nondimeno sono fallacissimi, perché dependendo di mano in mano l’una conclusione dell’altra, una che ne manchi, riescono vane tutte quelle che se ne deducono, ed ogni minimo particulare che varii, è atto a fare variare una conclusione; però non si possono giudicare le cose del mondo sí da discosto, ma bisogna giudicarle e resolverle giornata per giornata.

115. Truovo in certi quadernacci scritti insino nel 1457, che uno savio cittadino disse giá: o Firenze disfará el Monte o el Monte disfará Firenze. Considerò benissimo essere necessario o che la cittá gli togliessi la riputazione, o che farebbe tanta multiplicazione che sarebbe impossibile reggerla; ma questa materia innanzi partorissi el disordine, ha avuto piú vita, ed in effetto el moto suo piú lento, che lui forse non immaginò.