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46 dialogo del reggimento di firenze


inquieto, e da questi a chi ha ingegno ed animo ed inquietudine: co’ primi procedei’á largamente, co’ secondi bene con qualche rispetto piú, co’ terzi andrá piú stretto. E questo si doverrebbe anche fare in una libertá, non però togliendogli le dignitá né alienandogli dalle faccende, ma avvertire di non gli confidare, massime in tempi sospetti, la somma delle cose, o dargli tale compagnia che non possa disordinare; e tutto si fa in modo che questo resta piccolo errore, perché nuoce a pochissimi e non totalmente.

E di questo participa anche el popolo, perché spesso, e con minore cagione, si reca a sospetto gli uomini che vagliono ed usa minore prudenzia a sapergli ritirare ed assicurarsene, anzi gli esclude sanza rispetto ed in modo che gli dispera; perché non ha maggiore giudicio nel non dare che nel dare, anzi si confida bene spesso e con grandissimo suo danno di quegli di che sarebbe bene di guardarsi, perché non cognosce e non distingue. E se el popolo nelle cose ponderose ed in quelle che contengono la importanzia della republica, si governa cosí indiscretamente, che pensiamo noi che abbia a fare in quelle che importono manco, come sono gli offici di utile e di non molta amministrazione, e’ quali ancora che, come ha detto Piero Capponi, sia bene che siano communi in Firenze, dove si pagano tante gravezze e dove giá sono stati communi, pure si debbe fare qualche distinzione da chi merita a chi non merita, almanco per invitare gli uomini alle virtú ed al bene operare?

Conchiuggo in effetto che se bene a tempo de’ Medici, el dare magistrato a chi non lo meritassi procedeva piú da malignitá, per dire cosi, che da ignoranzia, e per contrario al governo del popolo nascerá piú da ignoranzia che da malignitá, pure che in questo piú spesso e con piú danno del publico errerá el popolo che’ Medici; perché quello che si fa studiosamente, suole avere peso e misura; ma la ignoranzia è cieca, confusa e sanza termine e regola, e però dice el proverbio che spesso ò meglio avere a fare col maligno che co’ l’ignorante.