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nota 291


Gli esempi riportati in questi due elenchi non sono che un saggio dei molti che si possono rilevare collazionando l’edizione delle Opere inedite coi manoscritti; ma confidiamo saranno sufficienti a dare una chiara idea della trascuratezza e dei criteri arbitrari con cui il Canestrini condusse il suo lavoro.

III. — Nella nostra edizione abbiamo seguito lo stesso metodo adottato per le Storie Fiorentine: serbare la massima fedeltá all’originale, modificando solo particolari di pura grafia che, prodotti dal vezzo latineggiante, non avevano alcuna rispondenza nella pronunzia1.

Ma di fronte a due manoscritti bisognava anzitutto stabilire quale di essi fosse il testo definitivo. A questo proposito è da accettare senz’altro l’opinione comune, secondo la quale il testo definitivo è costituito dalla copia del segretario (B) mentre l’autografo (A) non è che un primo abbozzo: oltre alla sicura successione cronologica dei tre proemi, sta il fatto che le moltissime correzioni ed aggiunte di A sono quasi costantemente inserite nel testo di B, mentre delle correzioni ed aggiunte che l’autore introdusse di sua mano in B, non si trova quasi mai traccia in A. (Le rarissime eccezioni non sono una prova in contrario, chè l’autore potè benissimo ritornare qualche volta alla prima lezione, preferendola a quella adottata nella seconda redazione).

Posto ciò, passiamo ad esaminare come fu compilata la copia del segretario: se questi trascrisse da A, oppure da un altro manoscritto ora perduto, o se invece il suo testo gli fu dettato dall’autore. La prima ipotesi va esclusa, perché troppe sono le differenze fra A e B. Delle altre due, l’ultima è la sola accettabile. Nessun indizio ci consente di supporre l’esistenza di un altro manoscritto; il testo di B ci offre invece molti dati a sostegno della terza ipotesi.

A p. 25 (della nostra edizione) si legge: «... hanno fatti molti beni». Cosí B. Ma il segretario, prima di scrivere «molti» aveva scritto «infiniti», e «infiniti» è la lezione di A. A p. 99 troviamo: «... la inclinazione, e per strignere tutte queste cose in una parola, gli umori della cittá». Questa la lezione di B, dove però la parola «strignere» sostituisce un originario «dire». In A manca tutto l’inciso: «e per... parola».

  1. Cfr. F. Guicciardini, Storie Fiorentine (Bari, Laterza, 1931), p. 354.