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Continua il tormento perchè all’inquisitore non basta la confessione fin qui estorta.

Il martedì 17 dicembre la buona donna, persuasa che a parlare non c’era più gran che da perdere e già allenata a inventare per guadagnarsi un po’ di riposo, continua la sua epopea. Dopo aver confessato d’aver pisolato un pochetto nel venir in tribunale, racconta come divenne stria e ci dà così un quadro del sabba classico anaune o strioz del monte Roen che si voglia chiamare.

Mi son deventata stria in occasion che essendo andata ai fieni sul monte di Romeno con la quondam Barbara già nominata a far della legna e havendone fatto un brazzo per una comissione e delle noselle et ballassimo tra di noi et vi erano dei diavolini in forma di cani e li vidi che ballavano con noi et questo fu su un prato nominato alla malgeta, il qual prato era del marito della detta Barbara la qual m’haveva prima dato a intender che andassimo a far fuori del fen, ma lo trovassimo bagnato che no lo podessimo voltar et stessimo ivi per trei hore e mangiassimo noselle e del pane e andassimo zo alla fontana a bever acqua. Li detti cagnolli li viddi vegnir via per il prà chiamati dalla detta Barbara digando: bò, bò, e la ge diede del pane et poi ballassimo con quei cani et viddi che erano grandi come mezzi cani et havendo ballato così per un’hora si si sfantorno da noi e non li vedessimo più all’hora. Ma ritornata su un’altro dì colla detta Barbara a far de la foia, quando incominciarono a mangiar del pane, la d.a Barbara s’accostò a un lares e vi piantò dentro il cortello, dicendo alcune parole che l’accusata non rammenta: ma ricorda d’aver visto uscirne un ottimo vino bianco che ella bevette. Pensandoci meglio, può descrivere la scena nei particolari: il coltello aveva il manico bianco: la Barbara tagliò la corteccia in basso, fino al legno duro, vi fece tre croci e disse: In nome del Pader, del fiol et del Spirito Santo et de San Zoan che ne daga del vin e del pan for de sto legnam!

Poi ricorda altri balli di streghe in montagna, dove i diavolini apparivano in forma di cani rossi, confessa d’aver somministrato a una sua comare nemica una pinza con dentro il tossico formato di menta-celidonia e salviola, taiade menude e mescolate con una polvere comperata dai crameri per uccidere i pidocchi dei bestiami e per uccidere i topi. Il posto della pinza dove c’era il tossico era contrassegnato.