Pagina:Guglielminetti - Le seduzioni - Le vergini folli, Torino, Lattes, 1921.djvu/12


vi


e profondi di Saffo rediviva sogguardano dalle palpebre reclini, tutta la figura s’accende in un improvviso lampo di bellezza. Ma, se in fantasia l’accecate, se per un momento la considerate come una statua diserta dalla luce della sua passione e del suo dolore, ecco vi sorprende in quella femminilità non so che di troppo rude e mascolino ed aspro. Forse troppo larghe e potenti le mascelle, forse troppo secca e diritta la sagoma dall’occipite al tallone e troppo lunghe le dita ed un po’ roca, come per un fremito perenne, la voce. Bella, ma di una bellezza aspra e funesta; immagine di nemica formidabile sebbene inerme, che soffre ella medesima della sua ostile solitudine, ma pur non sa piegarsi, e non vuole, ad amare come gli uomini vogliono essere amati. Abbandonandosi, tninaccia; abbracciando, respinge. Ha un sorriso di felicità che sembra ghigno di scherno; se promette la fedeltà la sua promessa trema sulle labbra con la febbrile vibrazione della colpa. Non nasconde uno stiletto nella manica sinistra? E Faone non l’ama, quantunque ella lo cerchi con smisurato ardore. Ha paura. Non dello stiletto, ma dell’ardore con cui la donna l’ama. Preferisce le facili galanterie o i sonnolenti vincoli matrimoniali a questo vortice di fiamma, ove l’anima sua s’incenerirebbe. Passa oltre, desiderando e tremando. E passa oltre anche Saffo, non per osare il salto suicida dalla rupe di Leucade, ma per cantare, irridendo, un canto di selvaggia sfida e di crudele impudicizia.