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66 le ore inutili

tima tortura, e crudamente cercava di immaginare l’espressione di terrore e di orrore che avrebbe sconvolto la faccia di Attilio quand’ella avesse sollevato dinanzi a lui il velo che copriva la deformità del suo volto.

— Forse la mia figura gli sembrerà così grottesca ch’egli si metterà a ridere, — pensava con una brutalità feroce verso se stessa. E le pareva di udire quella risata, lunga e stridente, di sentirla già nell’orecchio un po’ falsa ma quasi gaia, come ne aveva talvolta Attilio dinanzi a qualche nemico odiato e ridicolo che lo metteva in un cinico buon umore.

Quando Flora Conti entrò nell’ospedale e chiese di vedere suo marito mostrando la lettera che la chiamava e le carte personali che s’era procurate, la pregarono di aspettare in una saletta imbiancata a calce, piena di sole, con un crocifisso nero nel centro della parete.

Il suo cervello s’era fatto di nuovo vuoto ed assente come nei giorni della malattia quando ella ignorava ancora l’atroce verità della sua sventura. Solo un martellare sordo, doloroso, profondo in mezzo al petto l’avvertiva che un attimo orrendamente decisivo della sua vita s’avvicinava.

Entrò una monaca attempata, dal viso ma-