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60 le ore inutili

vere tutta la faccia bendata, con un solo breve spiraglio per gli occhi dal quale il suo sguardo annebbiato, stupefatto, ancora assente, s’aggirava interrogando.

Giorni e giorni, settimane e settimane erano passati così nella completa immobilità di quel letto, nella quasi completa oscurità di quella stanza. Un medico sconosciuto veniva di quando in quando a sbendarle il volto, a medicarlo, a ribendarlo ancora e se ne andava quasi senza parola accompagnato dalla madre che gli parlava supplicando ansiosamente a bassa voce.

L’inferma distesa nel suo letto in un’inerzia più tetra che rassegnata non chiedeva nulla, quasi non pensava a nulla. Era riuscita mediante uno sforzo di volontà aiutato dallo stato di prostrazione in cui si trovava a fare nel suo cervello il vuoto, l’ombra o quella nebulosità appena trasparente del pensiero che permette di sorvolare sulle cose senza approfondirle, senza considerarle, senza lasciarle penetrare nell’anima con tutta la crudezza della loro realtà presente e futura.

Soltanto le lettere di Attilio riuscivano a trarla dal suo cupo torpore. Attraverso allo spiraglio delle sue bende ella s’impadroniva con lo sguardo, con la carne, con l’anima di ciascuna delle sue parole e vi si indugiava per