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42 le ore inutili


— Me ne ricordo. Ebbene? — la incitai con curiosità.

— Ebbene, dalla Svizzera dove andò a rifugiarsi, costei continuò a scrivermi di quando in quando, raccontandomi in un cattivo italiano, imparato in pochi mesi, le sue varie vicende, parlandomi di certi suoi piccoli allievi russi ai quali non può voler bene come ai miei figli, e sospirando in ogni lettera, regolarmente aperta dalla censura, la fine della guerra e la gioia di poter ritornare in casa mia.

— Non mi pareva tanto tenera quand’era qui — osservai, ricordando qualche suo scatto nervoso subito represso dalla consueta soavità.

— Faceva il suo dovere. Null’altro. Però da alcune ore mi tormenta il sospetto che qualche volta abbia esorbitato dalle sue semplici funzioni d’istitutrice.

— Ossia?

— Mi è giunta stamane una lettera che non riesco a comprendere. Eccola. — E Rosalba trasse dalla tasca del suo golf di seta azzurra una busta aperta, invasa per metà dal bollo della censura e la battè più volte con un gesto impaziente sull’orlo della scrivania come per disperdere l’ombra misteriosa che pareva avvolgerla.

— Perchè non riesci a comprenderla? — do-