Pagina:Guglielminetti - Le ore inutili, Milano, Treves, 1919.djvu/168

160 le ore inutili

volse un’ultima volta ad ammirare la bella signora bionda, tuttora ferma nella gran luce variopinta che scendeva dalla vetrata.

Ella, a testa china, di sotto il suo velo arabescato, di sotto alle ciocche dei suoi capelli, gli lanciò uno sguardo furtivo, balenante di curiosità, mordendosi il labbro quasi in un trattenuto sorriso.

L’uomo si levò di nuovo il cappello e rimase così, appoggiato allo stipite della sua porta aperta come ad un invito, rimase a contemplarla dalla soglia della sua casa misteriosa dove nessuno era entrato mai, finchè ella non ebbe percorso l’atrio deserto che risuonò sotto il tacchettio dei suoi tacchi parigini, finchè ella non fu scomparsa nell’arco verde del viale.


Passarono gli anni. Il vasto casamento moderno che rifugiava sotto il suo tetto immenso tanta diversa umanità, mutò e rimutò più volte i suoi ospiti, oscurò di polvere grigia i colori smaglianti delle sue vetrate, ingiallì con la patina del tempo la bianca vernice delle sue pareti, vide entrare coppie di sposi impazienti dopo le nozze, vide uscire neonati vocianti portati al battesimo, vide andarsene morti taciturni, nelle chiuse bare coperte di drappi neri.

Ma non ostante il tempo che tutto cambia