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L'uomo tinto 159

luto e le parve in quell’atto meno sinistro e meno brutto, con l’alta fronte scoperta e i capelli buttati all’indietro. Portava un colletto molle arrovesciato sopra una cravatta nera e svolazzante, una redingote sciupata e d’antico taglio, scarpe di grosso cuoio su cui ricadevano i pantaloni troppo lunghi. Così magro, giallastro e dimesso pareva un vecchio professore a riposo, o un vecchio artista deluso e affamato. Poteva forse anche sembrare una persona rispettabile senza quell’incerto colore di nero-fumo che gli si diffondeva intorno alle orecchie e alla nuca e rappresentava per lui una lontana illusione della giovinezza da tanto tempo perduta: strana contradizione, stonatura grottesca con quella sua figura meschina d’usuraio, con quella sua anima avida d’avaro.

Esisteva dunque in quell’uomo, oltre al tenace amore per il denaro, anche il bisogno di dissimulare la sua vecchiaia, indizio confuso ma certo d’un sopravvivere d’aspirazioni o di desideri in contrasto con l’egoistica linea di vita che egli pareva seguire.

Passò oltre, salì i pochi gradini che lo conducevano al suo alloggio, un piccolo appartamento a terreno che s’apriva sul pianerottolo semibuio. Trasse dalla tasca una chiave, aprì adagio la porta dissimulata nell’ombra e si ri-