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sul polso uno dei suoi lunghi guanti scamosciati. Ma quando sollevò lo sguardo, lo fissò dinanzi a sè pieno di meraviglia.

Il suo vicino di casa, il marchese Licandri, l’uomo tinto, percorreva l’atrio invaso dalla luce variopinta delle vetrate a colori. Si avanzava lento verso di lei, appoggiato al suo bastone di canna d’India, a brevi passi misurati e a testa alta, fissandole in volto due rotondi occhi azzurri, due pupille chiare, quasi fanciullesche nella devastazione senile del viso, e quello sguardo che non si staccava da lei e pareva al tempo stesso implorare perdono per la propria insistenza inopportuna, manifestava un’ammirazione stupita e profonda, traduceva l’adorazione muta d’un uomo che contempla una cosa bella e se ne compiace, che osserva un tesoro non suo e se ne duole.

Anche la giovine donna lo guardò e si meravigliò di non trovarlo così ributtante come lo immaginava. La povertà dell’abito, la trascuratezza disordinata della persona, la barba a chiazze nerastre che gli invadeva metà del volto le sembrarono quasi bizzarrie sdegnose di uno spirito strano che abbia in disprezzo l’umanità.

Sempre fissandola egli le passò accanto, si levò il cappello in un gesto rispettoso di sa-