Pagina:Guglielminetti - Le ore inutili, Milano, Treves, 1919.djvu/161


L'uomo tinto 153

bui, stringendosi intorno alla persona le pieghe del suo chimono azzurro e sospirando a denti chiusi, come sospira la malinconia aspra e desiderosa.

Sapeva d’essere bella e riconosceva che ben poco le aveva concesso la sorte in omaggio alla sua bellezza. Vi pensava talvolta con una tristezza irosa la quale si placava poi a poco a poco nell’inerzia indolente che viene dalla certezza di trovarsi di fronte alle cose ineluttabili.

Ora le parole leggiere di Riccardo le risuscitavano in cuore l’antico malcontento di donna insodisfatta. E rientrò nella sua camera da letto, s’abbandonò sul lungo divano senza spalliera, alla Récamier, chiudendo gli occhi assorta in una inquieta meditazione.

La ricchezza! Ella non la possedeva. Non godeva di ciò che un poeta ha definito: quella spaventosa meraviglia che si chiama il denaro. La posizione del marito le concedeva una piccola agiatezza discreta, misurata giorno per giorno col compasso limitato della possibilità. Aveva dinanzi a sè la sicurezza di un domani sempre eguale e sempre mediocre, privo dei bei capricci e delle improvvise follie che la ricchezza consente.

Ed era giovane, poichè non contava ancora