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La signora Fernanda Marzi giunse ansante allo studio dell’avvocato Ademari e chiese subito d’essere ricevuta. Fu introdotta in un salottino elegante, riservato agli intimi, e mentre sollevava sulla sua magra faccia sconvolta il lungo velo di stretto lutto, Ademari entrò e le domandò la cagione di tanta premura.
Ella gli afferrò una mano con un gesto nervoso e gli parlò sottovoce fissandolo in fondo agli occhi:
— Mio marito ha trovato le tue lettere che mi scrivesti a Villalta, un anno e mezzo fa, ai primi tempi della nostra relazione. Sono perduta, capisci? Sono perduta. Violento e geloso com’è mi scaccerà di casa.
— Ma quando le ha trovate? Dove?
— Nello stipo dove tengo i gioielli, ieri sera mentre ero in casa di mia madre. L’ho dimenticato aperto prima di uscire e Arturo, rincasando durante la mia assenza, vi ha frugato dentro e s’è impadronito di quel pacco di lettere. Me ne accorsi subito rientrando e lo compresi dalla sua faccia fosca, dall’ostinato mutismo
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