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Abitava una palazzetta tutta grigia, con la veranda, il giardino e la rimessa, che apparteneva da mezzo secolo alla famiglia Vian ed era passata di padre in figlio, come la sua professione di notaio.

Benchè fosse un po’ lontana dal centro, negli ultimi tempi vi aveva trasportato anche lo studio che teneva quasi soltanto più per tradizione, e si recava in città parecchie volte al giorno con la carrozza padronale tutta lucida e silenziosa sulle ruote di gomma, col cocchiere impettito nella sua livrea verde-cupo.

— Perchè invece di questa lumaca antidiluviana non prendi una bella trenta cavalli agile e svelta che ti risparmierebbe un’infinità di tempo? — gli chiedeva suo figlio Aldo nelle rare volte che gli capitava a casa ed egli lo riconduceva con la carrozza alla stazione.

Ma il notaio Costanzo Viani non amava la modernità, rifuggiva da quanto fosse novità, mutamento, velocità, e odiava in tutte le sue forme la manìa sportiva che ha invaso le attuali generazioni. Anche il suo aspetto dimostrava questo attaccamento alle antiche idee, nella sua corretta

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