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l’erede


Essi, assorti nella loro ostile indifferenza, non s’avvidero che qualche cosa di mutato animava di una vitalità più ardente gli occhi della giovane donna e continuarono a trattarla con la loro sdegnosa e umiliante freddezza.

Ma una sera il conte Ciro e il conte Anselmo aspettarono inutilmente che Doretta rientrasse dalla sua passeggiata.

Ella aveva quel giorno rifiutata la carrozza ed era uscita a piedi nelle prime ore del pomeriggio avvertendo la sua cameriera che si recava in chiesa.

I due uomini senza toccar cibo l’attesero inquietissimi fino a ora tarda, quindi spedirono in vari sensi i domestici alla ricerca della signora.

Ma in nessun luogo ella era stata veduta e alla chiesa, a quell’ora chiusa, non si potevano ottenere notizie. Tutta la notte in casa Lucentani si vegliò in ansia e in collera aspettando il mattino per tentare l’ultimo passo a rivolgersi alla Questura. Ma all’alba arrivò un biglietto di Dora con queste laconiche frasi:

«Vi prego di non cercarmi perchè mai più o porrò piede in una casa dove sono disprezzata e odiata. Fuggo con chi mi ama e sarò sua per sempre».

Furente il conte Anselmo si precipitò all’Ufficio del Commissario di polizia per conoscere almeno il nome del rapitore e dopo una setti-

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