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amalia guglielminetti


— Non ne posso più, non ne posso più! — ella gemeva un giorno col volto fra le mani inginochiata ai piedi di un’altare nell’ora ombrosa del crepuscolo vespertino.

E i singhiozzi scuotevano la sua snella persona quasi accasciata su se stessa, quasi abbandonata a terra in uno sconforto supremo di disperazione.

Ella si sentiva così affaticata e così debole dopo quella crisi terribile del suo dolore che nel momento in cui tentò sollevarsi le mancarono le forze, ed ella ricadde in ginocchio con un lamento di sofferenza. Allora qualcuno che l’osservava da qualche tempo al riparo di una colonna si avvicinò, e cortesemente le porse aiuto offrendole la sua mano.

Ella la prese; s’alzò a fatica e timidamente ringraziò, sollevando lo sguardo verso lo sconosciuto.

Egli era giovanissimo, biondo, vestito a lutto, e la guardava con una così pietosa tenerezza ch’ella se ne sentì riconfortata.

— La signora è sofferente? — mormorò il giovine, e poichè ella taceva, nuovamente intimidita, egli soggiunse più piano: — Forse il suo male è nell’anima come il mio.

La contessa Dora s’era seduta al limite di

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