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l’uncino

ostentava anzi la nostra intimità con un disprezzo orgoglioso che mi riempiva di gioia e di fierezza.

Ora io conoscevo in lei un’anima infinitamente superiore alla frivola e sciocca società, che l’aveva educata e che la circondava, rallegrandomi meco stesso che la sorte avversa le avesse impedito di cadere fra le braccia d’un regazzo vuoto, incosciente e borioso qual era Renzo Cervara, pel quale quel tesoro di sensibilità e d’intelligenza sarebbe stato inutile e sciupato.

Talvolta ripetevo a Livia queste mie riflessioni baciandole le mani che erano un po’ grandi come volevano le proporzioni della sua alta statura, ma bianche ed accuratissime, ed ella allora me le toglieva con un atto nervoso, con un leggero moto d’impazienza nelle spalle, guardando fisso lontano senza rispondermi.

Aveva spesso con me momenti di incompresibile ostilità, di iracondia e di insofferenza che mi facevano terribilmente soffrire come se ella mi sfuggisse con orrore, d’un tratto, o mi guizzasse via dalle mani volgendosi ad avventarmi un morso con l’ambigua perfidia d’una serpe.

Ma se un momento dopo ella assicurava di amarmi ed io stringevo a me quel suo corpo morbido e flessuoso che aveva l’ondeggiare molle del mare calmo, dimenticavo lo scoraggiamento

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