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— Ma come? — esclamai piena di meraviglia vedendo venirmi incontro pel viale d’ippocastani la lunga figura ascetica di Manlio De-Foresi, tutto solo e accigliato, con lo sguardo a terra e l’aria tristemente meditativa.

Lo credevamo tutti a Roma, preso nei lacci d’un fortunato amore incominciato mesi innanzi, il quale divenuto in breve un fidanzamento ufficiale, stava per consacrarsi nella legalità delle nozze che si annunziavano imminenti, e questa apparizione improvvisa in una strada di Torino, la sua faccia tutt’altro che gaia, gli occhi fissi al suolo quasi per sfuggire allo sguardo altrui, sconcertavano d’un tratto quelle persuasioni di perfetta felicità che gli amici con maggiore o minore acredine gli invidiavano.

La sposa era difatti una bellissima signorina romana, figliuola di un alto funzionario, non più molto giovane nè provvista di una vistosa dote, ma circondata di tutte le eleganze e le raffinatezze di una donna che ama il lusso, la società, il piacere. Manilio se n’era innamorato alcuni mesi innanzi in una cittadina di mare, dove