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amalia guglielminetti

vertiginosamente, con un sommesso e ironico ronzìo sul disco a spicchi rossi e neri, mentre qualche ritardatario, mosso da una sua ispirazione, punta un ultimo gettone. Qualcuno guarda la pallina con occhi così attenti e severi che sembra voglia dominarla, trattenerla, fermarla, farle compiere ancora un mezzo giro. Altri fissa un punto sul tappeto, come per custodire ferocemente il proprio denaro o per imporre al suo numero di uscire.

— Ora viene il sette.

— No. Viene un numero alto.

— La dozzina di mezzo.

— Lo zero.

Sul vociare nervoso, pieno di desiderio, di trepidazione, d’ansia, di timore, s’alza la voce decisiva e inesorabile del croupier.

Trente-deux. Rouge pair et passe.

Scatti di rabbia, sorrisi di compiacimento, mormorii confusi e un lucido rastrello che s’allunga su tutti i numeri, meno uno, il vincente.

Lucio D’Almea aveva giocato a Montecarlo e altrove varie volte, ma aveva promesso a se stesso di non lasciarsi più attrarre dal tappeto verde. Non si sentiva l’anima avida e paziente del giocatore che sa attendere, frenando i propri nervi, il colpo di fortuna. Egli si turbava, fremeva della disdetta, soffriva in una maniera sproporzionata alla futile causa.

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