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la porta della gioia

e varcò la soglia, svoltò in un lungo corridoio ritorto, si lasciò squadrare da due valletti in polpa che gli presero il bastone e il cappello, e si trovò nella grande sala delle tappezzerie ulivigne ove intorno a due vaste tavole verdi si assiepavano giovani eleganti, vecchie signore, belle mondane ritoccate, dalle braccia nude e dai polsi carichi di armille sottili e di braccialetti pesanti, donne dal viso stanco che avevano certamente un passato, tipi oscuri, volti indecifrabili, fronti tormentate, facce esotiche, mani rattratte ad artigli nell’atto di ghermire, dita sottili, nervose, gialle, chiuse a pugno in un silenzioso atto d’ira.

E molto denaro gettato sul tappeto, ammonticchiato su quadrelli, disposti con inquietudine su questo o su quel numero; denaro posto, ritirato, rimesso sotto forma di innumerevoli gettoni rossi, bianchi, gialli, verdi, azzurri. Ogni poco la voce dell’impiegato che annunzia il numero e il colore, e un rastrello che si allunga a ingollare inesorabilmente tutto quel denaro variopinto.

Messieurs, faites vos jeux.

Un protendersi di corpi, un allungarsi di braccia, il volo di un gettone da una parte all’altra del tavolo.

Les jeux sont faits? Rien ne va plus.

E la piccola pallina d’avorio prende a girare

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