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l'ombra che scende


In quel momento Elda e Jacopo riapparvero in fondo al lungo viale del parco. Giungevano tenendo l’uno il braccio intorno alla vita dell’altra, entrambi vestiti di bianco da capo a piedi e così agili, alti e snelli, camminavano con tale festosa leggerezza sotto le mobili macchie d’oro che il sole, filtrando tra le fronde, accendeva sul suolo, sui loro abiti, sui loro capelli scoperti, che parevano raccogliere in sè l’essenza stessa della giovinezza felice, la gioia irrompente della nuova estate; e quella donna già troppo maturata dalla vita, già logorata dalle passioni e dagli errori, dal male fatto e dal male ricevuto, si sentì all’improvviso dinanzi ad essi così stanca e così inutile, impregnata di vecchiezza, di miseria e di menzogna, che l’esistere tuttavia, il trascinare tuttavia i suoi giorni tardivi d’inganno fra quelle due creature di chiarezza e di freschezza, le sembrò una assurda presunzione, una grottesca caparbietà.

— Bisogna che io me ne vada, — ella disse d’un tratto a sè medesima, mentre con un sorriso un po’ stirato all’angolo della bocca tendeva le mani ai fidanzati che salivano verso la veranda.

— Come sei pallida mamma, — le osservò Elda, infilandole alla cintura il lungo ramicello d’edera ch’ella teneva dianzi fra i denti.

— Mi duole tanto il capo, — spiegò Anna Maria stringendosi le palme alle tempia, — che


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