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amalia guglielminetti

mano di Elda, prima che il più leggiero soffio della maldicenza ne offuscasse col più vago sospetto della verità il nome ancora incontaminato.

Elda doveva trovare nella limpida regolarità della sua esistenza quella serenità di gioia che a lei era mancata forse per sua colpa o forse per colpa altrui, doveva portare ad un uomo degno l’intatta freschezza della sua anima chiara, trasmettere ai suoi figli il dono divino della vita con l’orgogliosa felicità della creatrice forte e cosciente.

Nessuna ombra di male, nessuna frode, nessuna vergogna, nessun disdegno doveva oscurare la fronte della creatura nata da lei e accolta senza compiacimento. La triste fatalità del suo passato avrebbe almeno servito ad innalzare sua figlia, quell’altra sè stessa, verso un più luminoso futuro, al modo stesso con cui la pura statua marmorea si solleva a volo verso la luce poggiando il piede sul grigio e scabro granito il quale chiude un sepolcro. Le pareva che l’antica donna avida di lusso e di piacere, l’avventuriera ambigua giunta alla fortuna attraverso il capriccio di un vecchio, giacessero ormai sepolte per sempre e per tutti in quella tomba chiusa.

Una mattina di marzo Elda Seregni s’aggirava nel parco dell’Abbazia cercando sotto le

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