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come guarì luciana vannelli

cavano un muto messaggio del suo amore, un avvertimento, una preghiera, una promessa, e li premette sul cuore quasi per calmarne con quel puro contatto la convulsa inquietudine.

Anche gli alberi s’agitavano quella mattina scossi da un vento furibondo, e per tutto il giorno quell’urlo lamentoso che pareva il grido prolungato della sua febbrile impazienza, le frustò i nervi, la irritò, la sconvolse. All’ora del thè sua madre la trovò così pallida e abbattuta che s’allarmò e le chiese se si sentisse male.

— È il vento, — le spiegò Luciana forzando la voce ed il gesto ad una calma noncuranza. — Ho lasciato stamane le finestre aperte nella mia camera e un po’ di freddo mi si è infiltrato nelle ossa. Non è nulla. Il thè mi riscalderà.

Si riscaldò pure con una corsa nel frutteto, con un attento esame del piccolo cancello che si chiudeva semplicemente con un chiavistello scorrevole e con una chiave arruginita che non funzionava più. Poi tornò in camera sua e incominciò a riempire di minuti oggetti indispensabili una valigetta larga poco più d’un palmo, foderata di raso verde, che conteneva infissi nel coperchio lo specchio, i pettini, le spazzole, i piccoli strumenti necessari all’acconciatura femminile, e che l’accompagnava sempre nei suoi viaggi. Quando questo fu compiuto, ella nascose la borsetta in un armadio, quindi scelse l’abito, il