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amalia guglielminetti

zioso, quella creatura così bianca, così fine, olezzante come un fiore, che si afferrava al suo collo con lievi grida di timore e con lievi grida di piacere.

Come l’animale infermo cerca, con un prodigioso istinto, fra i vegetali della terra l’erba medicinale che guarirà il suo male, così quella giovinetta malata di estenuamento, dalle vene povere di sangue, si era diretta per istinto verso il rimedio che la risanava, verso la ricca energia umana a cui abbandonarsi perchè rinvigorisse la sua debole fragilità.

Un medico esperto le aveva prescritta una cura di vita primitiva, ossia un temporaneo ritorno alla chiara semplicità della puerizia umana, quando gli uomini si nutrivano di caccia e di pesca e si congiungevano alle loro donne su giacigli di fiori, e quel suo fervido innamorato, bello e sereno come un giovine dio delle selve, faceva inconsciamente parte con l’aria, il sole, gli aromi, della cura risanatrice ordinata dal medico sagace.

Anche la materna origine campestre favoriva forse codesta inclinazione verso la natura. Nascosta per vergogna, per orgoglio rinnegata, soffocata nell’educazione squisita, dimenticata fra le distrazioni della mondanità, essa insorgeva nondimeno nelle vene e nei nervi della figliuola con la prepotenza di una legge atavica, e la ripiegava docile verso le disprezzate radici.

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