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amalia guglielminetti


Ebbe una pausa, trasse un sospiro e continuò:

— Quell’anno a Villalta, ti ricordi? era con me mia sorella Marta.

— Ebbene? — egli incitò con voce dura.

— Ebbene, quelle lettere furono dirette a lei. Io le trovai fra le sue carte dopo la sua morte e non so perchè le ho conservate per leggerle, pensando di distruggerle un giorno. Ecco ciò che ti ha tratto in errore. Non osavo confessarti questo per non accusare mia sorella. D’altra parte, essa era una vedova, perfettamente libera e padrona di sè e della sua vita. Nulla di male se ricevesse in casa sua un intimo amico e se questi le scrivesse lettere appassionate.

Fernanda aveva ripetuto quasi esattamente le parole di Ademari a voce bassa, con una perplessità fra reale e fittizia, con lo sguardo chino sul suo piccolo fazzoletto orlato di nero ch’ella tormentava con le mani nervose. Aspettò che suo marito le rispondesse forse con un’altra imprecazione, forse con una risata di disprezzo. Ma Arturo taceva.

Allora ella sollevò le ciglia e lo guardò trasalendo di paurosa meraviglia. Il volto di lui non più sarcastico od iracondo s’era cosparso d’un pallor di cenere, le sue labbra si schiudevano ad un respiro ansante, i suoi occhi fissavano il vuoto, la sua persona non s’ergeva più

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