Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/168



amalia guglielminetti

padario centrale. — Già, la prospettiva è piacevolissima. Adesso mi tocca ritornare con mia figlia lassù, a Belprato, in quel vecchio casone di campagna dove sono entrata la prima volta or sono quasi trent’anni, con un paio di zoccoletti nei piedi e un fazzoletto rosso intorno al capo. Dovrò rivedere quella grande cucina semioscura dove ho aiutato la cuoca a spennare i polli mentre il padroncino, addossato al palo della pergola, con le mani in tasca, mi guardava sorridendo di compiacenza e di bramosia.»

E ella continuò a rievocare a sè medesima quel tempo lontano così volentieri dimenticato.

Rivide la siepe di bosso che circondava il frutteto, dietro la quale il giovane Vannelli le aveva dato il primo bacio, e la finestra terrena ch’egli aveva scavalcato per entrare nella stanza dov’ella dormiva in un gran letto scricchiolante di foglie di granoturco, fra sacchi di biada e di carrube, e l’irruzione repentina di suo padre che li spiava, armato di fucile e furente di collera, nella stanza illuminata dalla luna, e la breve scena violenta di grida e di minacce, e la promessa di sposarla per aver salva la vita.

Alberto Vannelli se l’era difatti sposata un mese dopo quasi di nascosto nella chiesetta del villaggio, e il giorno seguente aveva accompagnata la contadinella diciassettenne in Svizzera 166 -