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amalia guglielminetti

violento della donna che amava, con il bisogno furibondo di stringere a sè la sua morbidezza calda e odorosa, di mordere la sua bocca ridente fino a farla gemere di dolore e di piacere.

Mentre entrava nell’ascensore il portiere venne a consegnargli una lettera.

— La signora Simpson ha lasciato questo biglietto per lei.

— La signora è uscita?

— No, signor conte. È partita.

Tremando, con le mani diacce, Emo strappò la busta, aperse il foglio. Non conteneva che queste parole: «Mio cugino William Shepherd occupa la camera N. 47. Ti aspetta domattina alle otto».

Una sera d’estate Emo Siniscalchi s’imbarcava a New York sul grande transatlantico Medusa che doveva riportarlo in Italia dopo quattro anni d’assenza.

Aveva ancora nel cervello lo stordimento continuo, ma cosciente e incitante che l’enorme città piena di fragori e di traffici aveva suscitato fin dal primo giorno nel suo sensibile sistema nervoso di latino. Ma quando furono al largo e quel ronzìo immenso di turbinosa metropoli si andò a poco a poco allontanando fino a rima-

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