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la donna vertiginosa

rosea, dove Zoia aveva trovato una ballerina di Washington, amica sua, andata ad imparare le danze sacre per profanarle nei caffè-concerto di New-York.

Passarono l’estate tra i fiori norvegesi, l’autunno fra le agave di Villa lgiea a Palermo, l’inverno mezzo al Cairo e mezzo a Montecarlo.

Nell’aprile erano a Roma ed uscivano una sera dal Costanzi, dove avevano assistito al Mefistofele da un palco di prima fila, tra uno sfolgorìo magnifico di bellezza e d’eleganza. Zoia risplendeva in tutta la sua biondezza in un abito di raso nero ricamato a grandi fiori d’oro che pareva la tunica d’una antica sacerdotessa o il manto di un idolo persiano.

L’automobile chiusa li depose davanti all’Excelsior ed ella volle ancora discendere nel bar dove gli oziosi eleganti della capitale, passano le ore notturne giocando e inghiottendo squisiti veleni.

Ella bevve un vhisky, poi puntò una somma alla roulette e perdette. La raddoppiò, perdette ancora ed allora accese ridendo una sigaretta russa che le offerse un giovane principe romano. Poco dopo ella aperse il proprio porta sigarette e lo porse al suo ammiratore. In quel momento le balenò un’idea che le parve molto bizzarra e ridendo la manifestò.

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