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amalia guglielminetti


Ella fece l’atto di sciogliere il nodo e d’aprire l’involto, ma la mano sguantata della marchesa Alvazzi, una mano lunga, magra, con le dita affilate e le unghie di smalto rosa, si buttò sul libro e lo ghermì prontamente con un gesto improvviso, atterrito, quasi convulso, più imprudente d’una parola, più rivelatore d’una confessione.

— No, cara, non posso; l’ho già promesso ad un’amica. Devo spedirlo questa sera stessa a Napoli.

E il romanzo, chiuso col suo segreto, scomparve nell’ampio manicotto della marchesa, mentre Demarinis e la signora Angelica si scambiavano uno sguardo d’intesa.

Un momento dopo il domestico entrò, girò la chiavetta della luce elettrica e tutte le lampade s’accesero. Si accese pure una fiaccola di bronzo dorato infissa ad un anello nell’angolo della parete, dietro le spalle della signora Mari.

Il giovine fissò quella luce con un lungo sorriso ambiguo e poi ambiguamente disse:

— Quella fiaccola starebbe assai meglio nelle vostre belle mani, cara amica.

Ella si volse, sorrise anch’essa e rispose semplicemente:

— È vero.

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