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76 | la matrigna |
graziose e vestivano come damigelle. Gli parve d’un tratto che una di esse, Maria, si chinasse su di lui e gli susurrasse: — Sono io la matrigna, — mentre la sua faccia si cambiava d’un tratto e diventava nera, schiacciata e feroce come quella del buldogg che suo padre teneva in giardino. Si scosse, comprese che si addormentava e che sognava, ma i pensieri gli si confusero ancora ed il sonno lo piombò nell’insensibile oblio.
Una settimana dopo suo padre lo fece chiamare inaspettatamente in parlatorio e quasi senza preamboli, battendogli la mano sulla spalla gli disse sorridendo: — Vittorino mio, tuo padre sta forse per commettere una sciocchezza, ma se mai la commette in buona fede e non bisogna dargli troppo la croce addosso. Fra otto giorni mi sposo, Vittorino mio, e sono venuto a dirtelo prima che tu lo sappia dagli altri.
— Lo sapevo già, — disse Rino guardando le scarpe di suo padre ch’erano gialle e lucide come due arancie, e soggiunse tra sè: — Poteva aspettare ancora un poco, ormai lo sanno persino i gatti del collegio.
Ma il signor Ponti, già solitamente distratto e smemorato, pareva in quei giorni mezzo intontito e non rilevò le parole di suo figlio. Nel congedarsi gli battè un’altra volta la mano sulla spalla e fu solo dopo aver aperta la porta per andarsene che si ricordò di chie-