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l’immagine e il ricordo | 65 |
ha in fondo come tutte le storie inventate la sua brava morale.
— Sentiamo, — pronunciò lento Fernando Alviti, con un grave gesto d’invito condiscendente che pareva un’assoluzione anticipata per qualche supposta colpa d’amore.
— A Cuba nelle Antille, dove la mia nave sostò un mese, alcuni anni fa, — raccontò Luciano Sterni, — io incontrai una graziosissima creola, moglie di un mio conoscente inglese che vi si era recato anni innanzi per commerciarvi tabacco e caffè e vi aveva già accumulato una cospicua fortuna. Ella si chiamava Juanita, aveva una selva di capelli neri leggermente crespi, due occhi così languidi e grandi che davano la vertigine e due labbra così fresche e molli che parevano destinate a guarirla.
La conobbi ad una festa da ballo data in nostro onore dal Consolato e ne fui così affascinato che non mi staccai da lei per quasi tutta la sera. Ella parlava egualmente bene lo spagnuolo e l’inglese e siccome io sapevo esprimermi in entrambe queste lingue le manifestai subito l’impressione vivissima che la sua singolare bellezza suscitava in me e le dissi la mia fervida ammirazione con parole forse alquanto improprie ma certo abbastanza efficaci.
Ella mi rispondeva a piccole frasi staccate e armoniose come i gorgheggi di una capi-