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il nome | 343 |
Ella attendeva in un silenzio sospeso la spiegazione di quelle oscure parole.
— Io non sono Mario Scotti, — aggiunsi in fretta, convulsamente, — sono un amico intimo di lui e il nome che tu leggesti sul biglietto il giorno del nostro incontro ti ha tratta in inganno. Ma tu hai amato me, per me stesso all’infuori del mio nome. Tante volte me l’assicurasti ed è vero, dimmi che è vero; non tacere così, non guardarmi così, Elena!
La ruga diritta dello sdegno e del disprezzo le incideva alla radice del naso un solco profondo come una cicatrice e i suoi occhi foschi e cattivi come non mai occhi umani m’erano apparsi prima d’allora, mi fissavano con una crudeltà così fredda e beffarda che non ne potevo sostenere lo sguardo.
— Sei stato vile, — ella sibilò senza dischiudere i denti e scivolò dal letto lentamente, andò a sprofondarsi in una poltrona, sovrappose una gamba all’altra e accese una sigaretta.
Io mi degradai fino all’ultima umiliazione tanto la desideravo in quel momento, così com’era bellissima e corrucciata come una dea, perversa e tortuosa come una serpe.
Mi buttai ai suoi piedi, baciai le sue ginocchia supplicando d’essere perdonato, d’essere illuso ancora una volta, un’ultima volta.
Ella mi allontanò col piede, come una cosa