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338 il nome


Lettere frequenti di mio padre mi richiamavano a casa, un breve severo biglietto dell’avvocato mi accusava di non aver meritato la sua fiducia con quella specie di diserzione che non aveva ragione nè scusa e mi avvertiva che non facevo più parte del suo studio.

Ma io ero follemente innamorato e indifferente ormai a tutto quanto non fosse Elena, la bellezza di Elena, l’amore di Elena.

Ella continuava a chiamarmi Mario ed a credermi Mario Scotti ed io per inerzia e per paura la lasciavo nel suo errore.

Mi dicevo, ragionando con falsa logica, ch’ella amava ora la mia persona, la mia tenerezza, il mio ardore e che il nome ormai non contava più nulla nel legame sentimentale e sensuale che l’univa a me.

Assicuravo me stesso che io non la disingannavo semplicemente per evitarmi i suoi stupori, le sue domande, forse una sua leggiera contrarietà e cercavo di convincermi come nella mia condotta non vi fosse da un mese una menzogna piuttosto vile, ma solo una dissimulazione alquanto puerile.

In fondo al cuore però soffrivo di questa abolizione di me stesso e non entravo una volta nel suo salottino giapponese senza propormi di svelarle prima di uscirne il mio nome.

Ma non appena io la guardavo in quei suoi larghi occhi balenanti, non appena la sentivo fremere agile e forte fra le mie braccia e