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il nome | 337 |
di seta grigio-perla tutto fiorito di glicine e mi aspettava in un minuscolo salottino giapponese fra idoletti, stuoie, paraventi e crisantemi che pareva uno scenario di Madame Butterfly. Ella sembrava più alta e più florida fra quelle minuterie fragili messe insieme con un certo gusto e un discreto discernimento e fu tutta felice delle lodi ch’io le prodigai con la generosità più atta a propiziarmela.
— Il vostro elogio, il primo vi assicuro, di un vero competente mi rende immensamente orgogliosa, — ella mi diceva languidamente sorbendo il thè, mentre io seduto accanto a lei braccio contro braccio osservavo l’ansare affrettato del suo seno nel triangolo della scollatura a punta.
Io non badavo già più alle sue parole, e dimenticai completamente di chiamarmi Ottavio Ottaviani o Mario Scotti quando le cinsi le spalle e la baciai a lungo sulla nuca scoperta.
— Mario, Mario, — ella sospirava sotto le mie carezze, — come mi piace il tuo nome!
E solo allora mi rammentai che m’ero proposto di confessarle il mio vero essere, ma poichè me ne mancava il coraggio dissi a me stesso che il momento non sarebbe stato opportuno e tacqui.
Tacqui ancora il domani e il posdomani e continuai nella piccola viltà di quell’inganno per tutto un mese.