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326 | il nome |
il disagio morale in cui mi lasciò la memoria di quel fatto.
L’Arianna si dondolava mollemente sul mare placidissimo del meriggio, cullando come dentro un’amaca sospesa tra cielo e onde i due giovani corpi distesi sui suoi cuscini e le due giovani anime abbandonate al ritmo delle confidenze.
— Quattro anni or sono, prima che morisse mio padre, — narrò Ottavio distendendosi in fondo alla barca, — dopo aver presa la laurea io, per consentire al suo desiderio, facevo pratica d’avvocato nello studio di un insigne giureconsulto suo amico e quantunque piuttosto negligente nel seguire l’orario e pieno di vivacità e di distrazioni, possedevo non so come la piena fiducia del mio principale e una sua molto spiccata predilezione.
Ero da quasi un anno nello studio ed avevo acquistata una certa famigliarità coi codici e la carta bollata, quando entrando il pomeriggio di un sabato nel gabinetto riservato dell’avvocato mi sentii rivolgere questa interrogazione:
— Volete partire questa sera o al più tardi domattina per Roma?
— Senza dubbio, commendatore, — risposi tutto sorpreso e lieto e gli domandai la cagione di questo improvviso ordine. Egli me lo spiegò con brevi e chiare parole.