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298 la saggezza del destino

gli avrei forse dato il mio benvenuto, e l’aspettavo.

Anche più tardi seppi da lui stesso quanto gli accadde al suo ritorno. Dopo un rapido saluto dato in città a sua madre, egli decise di correre a Villaverde e telegrafò onde avere alla stazione un cavallo sellato, sembrandogli che una carrozza dovesse impiegare un tempo interminabile a percorrere quei dieci chilometri di strada che occorrevano per giungervi. Era una mattinata calda del principio di giugno e suonavano le campane di mezzogiorno quando Ruggero passò di galoppo dinanzi al mio cancello. Ma non mi vide; proseguì impaziente verso la sua mèta e discese poco dopo a Villaverde. Egli non aveva annunziato ai Wilson il suo ritorno; desiderava sorprenderli all’improvviso, sapendo com’essi amavano le emozioni violente ed inattese e si riprometteva un’accoglienza quasi folle di gioia e di festosità.

La famiglia con alcuni ospiti prendeva il caffè nella veranda, dopo colazione, quando Ruggero, seguito dal domestico che aveva pregato di non annunziarlo, sollevò la tenda che metteva in giardino ed apparve come una visione; sarebbe forse più giusto dire come un fantasma, perchè tutti i volti espressero uno stupore pieno di sbigottimento e passarono alcuni attimi prima che il padre Wilson si risolvesse a venirgli incontro ed a strin-