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294 la saggezza del destino

quali egli rivolgeva la sua parola, ma convinta com’ero della mia bruttezza sgraziata e ritrosa, rinchiudevo in me la mia tristezza e me ne struggevo quando ero sola in lagrime e in singhiozzi senza fine.

L’anno in cui Ruggero uscì dall’Accademia con le spalline, tutte le nostre compagne di villeggiatura se lo disputarono, ed egli si prodigò in amori ed in amoretti, divertendosi e appassionandosi follemente a quel gioco di presa d’assalto della vita. Io sola l’osservavo e soffrivo in silenzio, io sola lo seguii passo passo, non veduta nè sospettata per gli anni che sopravvennero, e conobbi quasi tutte le sue avventure, seppi i nomi di quasi tutte le sue amanti, lo vigilai dalla mia ombra desolata con l’ansia d’una madre e la passione d’una innamorata.

Al principio della scorsa estate la casa d’un lontano parente di Ruggero, chiamata Villaverde, fu affittata ad una famiglia di americani del nord, i Wilson, gente dispendiosa, chiassosa, smaniosa di divertirsi in qualsiasi modo lecito e illecito. Ne facevano parte due signorine poco più che ventenni, Magda e Glady, entrambe alte, snelle e disinvolte come giovinetti, molto graziose, molto eleganti e civette fino alla temerità.

Figurati che accoglienza fecero a Ruggero, il bell’ufficiale italiano, il corteggiatore consumato che possedeva tutto il fer-