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il viaggio | 291 |
più e l’uomo la vide così stravolta che non osò replicare. L’impiegato a cui consegnò il suo biglietto la richiamò per dirle qualche cosa ch’ella non comprese e a cui rispose crollando il capo con gli occhi smarriti.
Macchinalmente aveva afferrato la valigetta e quel peso inconsueto la riconduceva tratto tratto alla realtà del suo essere mentre ella correva per le strade quasi oscure, rasentando i muri, svoltando agli angoli, guardando fisso innanzi a sè col cervello vuoto come un’allucinata. Giunse dinanzi alla sua porta guidata unicamente dall’istinto che conduce anche le bestie, i ciechi e i dementi. Come fu nella sua camera liberò il viso dal velo e si guardò intorno sperduta. Nulla era mutato nelle cose inconsapevoli, solo un male, un orribile male, non gelosia, non odio, non rivolta, ma un male ancora confuso, materializzato, come un contorcimento dell’anima e della carne, come lo schiacciamento di un piede brutale la premeva, la straziava, la distruggeva.
E fu tra le coltri gemendo, smaniando, col sangue già acceso dalla febbre, in un principio di delirio.