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290 il viaggio


Il cuore le diede un balzo. Felinamente strisciò incontro alla parete del corridoio, spiò dalla porta socchiusa. Le due cuccette erano già preparate per la notte e sopra una d’esse sedeva una giovine donna col gomito sul guanciale e la nuca appoggiata alla mano. Rideva ancora mostrando i denti molto bianchi fra due labbra sottili e rosse come una ferita e parlando scuoteva i capelli corti e ricciuti d’un nero rossigno intorno al viso grasso e corto come quello d’un fanciullo.

L’uomo, un po’ curvo verso di lei, volgeva le spalle alla porta e sebbene la statura, il portamento, i gesti rassomigliassero a quelli di Leonetto, ella s’illuse per un attimo, disperatamente, che non fosse lui.

— Chiudi la porta, — disse d’improvviso la donna, ed egli si volse, le fu di fronte. Ella ebbe appena il tempo di buttarsi indietro, di scomparire, di cadere sul divano col sudore freddo alla fronte, col volto livido, con la bocca socchiusa ad aspirare l’aria che le mancava. Era lui e partiva con un’altra.

Allora la sospinse un solo pensiero: quello di fuggire senza essere scorta, di andarsene prima che quel treno la portasse via, di correre all’impazzata senza più volgersi indietro.

Il guardiano l’avvertì che mancavano tre minuti alla partenza, mentre ella s’avviava verso l’uscita. Ella rispose che non partiva