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il viaggio 283


— Sì, cara; ma un momento solo. Ho tante cose ancora da disporre.

Si salutarono correttamente nell’anticamera dove l’odore acre dei disinfettanti fluttuava nell’aria come un severo ammonimento e Gemma Reali rientrò nel salottino sospirando, si torse le mani nervosamente, scrutò nello specchio con irosa tristezza il suo bel volto impallidito, stirato dall’indicibile pena. Non mai come in quel momento la continuata menzogna, la torbida falsità della sua vita le era sembrata così miserabile e così insopportabile. Bisognava rifarsi ora il viso sereno, il viso legale che il destino le aveva imposto e sedere con gesti calmi e con sorrisi innocenti alla tavola familiare, mentre tutta la sua anima correva ansando sulle traccie di quell’uomo che non poteva seguire, che sarebbe stato domani al di là delle terre, al di là dei mari solo e irraggiungibile, solo e infelice senza di lei.

Si scusò col marito di non potergli tenere compagnia durante il pranzo, adducendo un violento mal di capo e si ritirò in camera per mettersi subito a letto. Tutta la notte sognò treni fuggenti, disperate corse verso l’ignoto fra voragini spaventose; soffocò fino all’alba sotto l’oppressione degli incubi e quando fu sveglia si sentì così sollevata e leggera che le parve di poterne trarre un buon presagio. Allora incominciò a sognare ad oc-