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282 il viaggio


— Sarebbe tanto bello, — ella mormorò stringendosi accanto con un atto carezzevole. — Pensa, amore; una notte intera in ferrovia noi due soli, poi una sosta a Parigi, la città magica dove non sono mai stata, poi ancora qualche ora di treno e l’imbarco a Calais, la traversata della Manica....

— E il mal di mare.

— Che importa? Essere a Londra noi due sconosciuti a tutti, liberi fra tutti, perderci fra le strade immense, tra la folla ignota, senza paura, non sarebbe delizioso, non sarebbe divino?

— Divino sì, ma anche impossibile.

— Dio mio, perchè la vita è tanto nemica?

Ella teneva il capo abbandonato sulla spalla dell’amante e come prima aveva inseguito ad occhi socchiusi i bei fantasmi del suo inutile sogno, ora li sbarrava tra paurosi e ostili in faccia alla dura realtà.

Leonetto s’alzò e si congedò accarezzandole i capelli con pietosa tenerezza:

— Vedrai come passeranno presto tre o quattro settimane e come ci ameremo di più dopo tanti giorni di lontananza.

— Partirai domani sera?

— Sì, a mezzanotte. Passerò domattina a fissare il posto nel vagone-letto.

— Verrò a salutarti un momento nelle prime ore del pomeriggio.