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lo scopo segreto 273


Un vespero di primo autunno grave e mite empiva d’ombre fluttuanti le silenziose pianure e piccoli uccelli balzavano con un frullo d’ali dalle siepi spaventati dal passo del suo cavallo, quando Tito Ercolani dopo un lungo giro meditativo suonò al cancelletto coperto di caprifoglio, vi legò il cavallo e fu introdotto da una vecchia cameriera nell’antico salotto di casa Leoni.

Tutto vi stava ancora disposto come tredici anni prima, solo una lunga sciarpa di crespo azzurro gettata sullo schienale di una poltrona ed un romanzo francese deposto su d’un tavolo con un pugnaletto a manico istoriato fra le pagine a guisa di tagliacarte, rivelavano la presenza consueta di una femminilità giovanile elegante e intelligente fra quell’antico arredo massiccio e durevole di buona casa borghese di provincia.

Si presentò quasi subito la signora Leoni stretta in un abito di vecchia foggia di seta marrone, con uno scialletto a frangia di ciniglia sulle spalle aguzze e gli porse sorridendo la mano ossuta calzata di mezzi guanti di lana bianca.

— Ella sarà meravigliata di rivedermi dopo tanti anni, — disse Ercolani inchinandosi e le rammentò con parole commosse l’amicizia materna che l’aveva legata a sua moglie. Ma il sorriso della vecchia signora, un sorriso di denti finti, troppo bianchi e uguali