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252 | dame a scegliere |
ai bracciuoli della sua poltrona, con le guancie sulle due palme aperte, senza parlare, quasi senza batter ciglio. E poichè Dario fece l’atto di alzarsi, solo allora ella protese le mani come per fermarlo e lo pregò sommessamente: — Rimani un momento, vorrei parlarti.
— Di Flora? — domandò egli inquieto.
— No, — ella rispose in un lungo sospiro; — di me.
E soggiunse dopo una pausa piena di meravigliata attesa da una parte e di affannosa ansia dall’altra: — Di me che soffro molto per cagion tua, di me che non ho dimenticato ancora il passato, che sempre l’ho presente come il tempo più bello della mia vita.
Egli si portò una mano alle fronte in un gesto di fastidio e scosse due o tre volte il capo come per disapprovare benevolmente quella tardiva dichiarazione.
— Non credi, di’, non mi credi? — ella domandò, illusa, attaccata a una sua oscura speranza, guardandolo con trepidazione.
— Sì, sì, ti credo, — egli mormorò stringendosi nelle spalle, — e non mi resta che deplorare vivamente questa tua triste follia.
— È una follia, hai ragione, ma una follia inguaribile, — ella gemette alzandosi, ponendogli una mano sulla spalla, chinandosi quasi a sfiorargli con le labbra i capelli.