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240 | un uomo di coraggio |
giarono di pensieri sospettosi e di oscure tristezze. Il suo lavoro non procedeva più così alacre e sicuro come ai primi giorni e troppo spesso egli si sorprendeva ad ascoltare inoperoso il canto delle vendemmiatrici e lo stormire del vento. E se Giselda entrava all’improvviso e rideva della sua aria trasognata egli sentiva il cuore mancargli come sotto una pressione troppo forte.
— Ahimè! Io devo essere innamorato, — egli rifletteva, fumando sulla terrazza, uno degli ultimi giorni della sua permanenza al castello di Fuscaldo. E pensava con gioia e insieme con desolazione che fra poco egli sarebbe ritornato libero, padrone di sè stesso e della sua volontà, non più incatenato a quella schiavitù morbida che lo rendeva debole e stolto come un fanciullo. Per fortuna il male era all’inizio e nella ruvida solitudine del suo lavoro non avrebbe tardato a guarire; ma guai se questa mollezza di azione e d’anima, guai se questa tentazione attirante lo avesse preso per più lungo tempo!
Ora gli antenati di Giselda di Fuscaldo erano tutti quanti onorevolmente ridipinti e l’umile restauratore poteva andarsene in pace.
— Maestro, — chiamò dal giardino la voce acuta della sua ospite, e poichè egli si sporgeva dalla balaustrata guardando in basso, ella gli gridò: — Vede quell’automobile nera che s’avanza laggiù su quella strada bianca?