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228 il dolce egoismo

d’improvviso in quella oscura vita interiore, per lui.

Non l’amava ma gli piaceva, ma lo lusingava, ma lo attirava talvolta col lampo voluttuoso d’un attimo; gli era necessaria e benefica come il filo elettrico che scoteva e vivificava, guidato dalla mano esperta del medico, i suoi poveri nervi intorpiditi dal male. Talvolta ella gli prendeva la mano superstite e vi poneva sopra la guancia in un atto di civetteria, socchiudendo gli occhi, guardandolo di sotto in su con una graziosa movenza felina che si addiceva bene alla sua flessuosità acerba di adolescente; ed egli, turbato, s’era talvolta chinato quasi involontariamente su quel volto illanguidito, ma subito di scatto, balzando in piedi, aveva disperso la tentazione fascinosa e vinto il soave pericolo.

Un giorno di pioggia in cui erano entrambi mesti d’una mestizia senza causa, grigia e pesante come il cielo, Ugo Franti accennò ad una triste vicenda della sua vita e s’accinse esitando a narrarla alla sua giovine amica. Ma ella lo interruppe fin dalle prime frasi, subitamente offuscata in volto ed aspra nella voce come se presentisse una minaccia oscura per sè e per il suo amore. Per un’altra settimana egli tacque, per un’altra settimana ella si cullò in quella illusione ormai necessaria alla sua vita, ma