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226 il dolce egoismo

raccapriccio, di fervore e di stupore, portarlo alla superficie della sua anima, esalarlo quasi in espressioni, in gesti, in parole, liberarsene infine come da un incubo terribilmente opprimente di grandezza e di male, di bellezza e di morte.

Per giorni e giorni, quasi per un silenzioso accordo, essi si ritrovarono nella piccola rotonda sotto i platani folti alla stessa grave ora pomeridiana, ed il ferito continuò a ricordare a sè medesimo e a narrare alla sua ascoltatrice devota la storia della magnifica guerra. Egli vide la giovinetta piangere, sorridere, impallidire, fremere: tenne la sua piccola anima tutta tesa e accesa e vibrante nel cerchio delle sue parole, la sentì immemore, travolta in quell’ardore tempestoso come una foglia in un turbine di vento. Ed a poco a poco la sua cupa mestizia si addolciva, l’ombra mortale della sua malinconia si rischiarava sotto il baleno di quello sguardo d’amore; egli pareva assorbire dalla freschezza rifiorita, dalla vitalità sensitiva della sua amica la forza e la volontà di sentirsi ancora giovine, ancora valido, ancora pronto a godere gli squisiti beni della vita. Più che le cure diligenti dei medici, più dei farmaci e del riposo, lo risanava la coscienza di quella possibilità, la certezza di quel dominio; lo guariva a poco a poco la gioia d’abbandonarsi dimentico a quella ripresa