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il dolce egoismo | 225 |
cende d’un povero malato. Tacque un momento con gli occhi assorti, quindi con la sua unica mano accarezzò lievemente le dita di Luciana posate sul bracciuolo della poltrona e ripetè più volte: — grazie, grazie.
Il dottore chiamato da un’infermiera si era allontanato e una specie d’angoscia oscura gravava adesso su di loro nel silenzio isolante del giardino. Egli sentiva gli occhi della fanciulla, occhi d’appassionata pietà, occhi di dolorante tenerezza, avvolgere la sua persona inferma in un fervore quasi sensibile d’adorazione, e per la prima volta quella triste diminuzione di sè stesso, quel male orrendo che aveva fatto della sua destra agile e forte un miserevole moncherino sanguinante e della sua persona gagliarda un invalido resto umano, non destò nel suo cuore un senso d’abbattimento amaro.
Una donna poteva ancora guardarlo con amore, una creatura di bellezza e di freschezza lo contemplava senza ripugnanza, gli offriva spontaneamente con muto slancio un piccolo cuore ancora colmo di tutti i suoi doni.
E per la prima volta, alle domande fra timide e insistenti della giovinetta, egli potè parlare di sè, potè rievocare la visione della battaglia ancora recente eppure già lontana come un sogno epico, potè trarre dal fondo di sè stesso un peso enorme di dolore, di